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LE VIE DEL RITORNO

III TAPPA DELLA TRILOGIA SULLA MEMORIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Regia Marco Baliani
Drammaturgia Marco Baliani, Francesco Guadagni, Maria Maglietta
Musiche Filippo Del Corno
Costumi Chiara Defant
Con Cvyetkovic Aleksandar, Gabriele Duma, Massimo Lanzetta, Giancarlo Previati
E con il Coro Castelbranco diretto da Luigi Azzolini e Corale Città di Trento diretta da Roberto Giannotti
Organizzazione Ars Group
Un’iniziativa di APT Trentino, APT Rovereto, Fondazione Opera Campana Caduti, Comune di Rovereto e ASM di Rovereto

Anno di debutto: 1996


La figura del reduce e la dimensione del ritorno dopo la guerra sarà il tema di questa tappa. Se in Come gocce di una fiumana avevamo toccato la tragedia della partenza per il fronte e dello spaesamento di luoghi e persone, se in Terra dove non annotta avevamo indagato le memorie della trincea e della vita reclusa nei forti della guerra, ecco ore terminare la trilogia con il tema potente del ritorno a casa.
Ma colui che torna, ora, dopo la catastrofe che tutto ha cambiato e travisato, chi è? Come fa a nominarsi? Chi lo accoglie e cosa riconosce in lui della vita trascorsa? Si torna come nomadi forzati, si torna cambiati nel profondo e tutto intorno è violentemente cambiato: i paesaggi sono mutati, le azioni degli uomini appaiono straniere, ecco, forse si torna stranieri nella propria patria.
Ogni guerra travolge un tessuto di rapporti e relazioni, suscita un terremoto che non ricompagina più il vissuto preesistente, che cambia i connotati non solo alle cose, ma alle anime dei sopravvissuti e niente sarà mai più come prima: il mondo appare cambiato con un atto di violenza inaudita e per colui che torna è difficile ritrovare un senso alla propria esistenza. La memoria che si credeva sicura e che nei sogni al fronte diveniva rifugio immaginifico contro le brutture del mondo non è più la stessa, ha perso visibilità. E così il reduce torna come in un paese straniero: comportamenti, atti, convinzioni, stili di vita, tutto ciò che fa di un uomo un tessuto di esperienze strette intorno alla sua comunità, si dissolve. Ricordare diviene atto terribile e doloroso, raccontare anche diviene difficile: per coloro che sono rimasti le parole del reduce sono aliene, perfino colpevoli. Abbiamo cercato di ridare voce a quelle memorie, raccontandole, restituendole non solo come atto di testimonianza, ma come vigilante avvertimento per il nostro presente, per questo secolo che termina con le stesse guerre con cui era cominciato, con gli identici orrori a pochi passi da noi. Faticosamente cerchiamo con il nostro teatro di avvicinarci allo scadere del millennio mostrando ciò che ancora pesa sulle nostre coscienze, perché il lavoro di civiltà non è mai terminato e sembra sempre sul punto di crollare, e il caos sembra affacciarsi ogni volta a riprendersi con forza il nostro mondo. L’impianto scenico è diverso: poche voci narranti, reduci che tornano soli che non hanno neppure più il limitato conforto del cameratismo di guerra. Tornano sconfitti, sempre, chiunque sia stato il vincitore, perché per la gente comune nessuna guerra è mai stata vinta davvero. L’empito corale che tanto aveva segnato i due precedenti eventi teatrali sarà affidato a un coro di voci, potente, che con il canto segnerà il respiro del ritorno.


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