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LA CENA DI EMMAUS

RACCONTO TEATRALE DI UN QUADRO

testo e regia Marco Baliani
con Roberto Anglisani, Marco Baliani, Mirto Baliani, Maria Maglietta, Mariano Nieddu
costumi Patrizia Caggiati, Maria Maglietta
disegno luci Diego Guerzoni
un progetto ideato e curato da Alessandra Ferrando
produzione MIBAC e Civita
si ringraziano per i preziosi contributi Luca Baratto, Emanuela Daffra, Giovanni Franzoni, Luciano Giuriola, Fausto Tortora


Vorrei ritrovare l’atto creativo del dipingere come materia vivente in movimento, la composizione del quadro come un’opera teatrale in divenire fatta di difficoltà, imprevisti, rotture, intuizioni. Un momento di rivelazione di un dramma che appartiene all’inquietudine esistenziale di Caravaggio e che per questo vive di diritto nella nostra modernità e nelle sue inquiete dimore.


NOTE DI REGIA di Marco Baliani

Davanti al palco dove si svolgerà l’azione, all’inizio il pubblico potrà ammirare il dipinto caravaggesco proiettato su uno schermo che occupa esattamente l’apertura del boccascena. Poi la proiezione si dissolverà e anche lo schermo verrà tolto.
La scena all’inizio appare è nuda. Quattro attori, vestiti con abiti contemporanei attendono indicazioni dal regista.
Il regista è Caravaggio, comincia a spiegare loro come vorrebbe rappresentare la scena della cena. Gli attori prendono ad allestire lo spazio, a tratti dialogando tra loro sul soggetto della rappresentazione, a tratti rispondendo alle indicazioni di Caravaggio, il quale a sua volta ogni tanto va raccontando al pubblico il momento che sta attraversando, nella sua vita, pochi giorni prima di dipingere il soggetto della cena.
Così più piani drammaturgici si intersecano tra loro, fino a che, via via gli attori vanno cercando le pose del quadro, con Caravaggio che li sposta, li dirige attoralmente, li “dipinge” drammaturgicamente, indica al datore luci quali pennellate servono, come disporre le fonti luminose.
Gli attori che interpretano gli apostoli raccontano anche gli antefatti, la morte di Gesù, il suo seppellimento, la notizia, che li lascia increduli, riportata dalle donne, sul sepolcro spalancato e sulla mancanza del corpo del Cristo dentro la tomba.
Così progressivamente i corpi degli attori vanno calandosi sempre più nei personaggi del tempo, cambiano costume, invecchiano a vista, dialogano sui momenti precedenti l’incontro, mentre si va allestendo la tavola, apparecchiando la cena. Intanto il regista Caravaggio dirige ogni singolo attore verso una stanisvlaskiana immedesimazione nei ruoli, facendo percepire via via l’eccezionalità della situazione.
L’ultimo passaggio è la totale adesione visiva, sensoriale e drammaturgica all’evento rappresentato, dai pochi istanti che precedono il pane spezzato, permettendo il riconoscimento del Cristo, fino a che l’immagine si fissa nella stessa composizione del dipinto caravaggesco, restando sospesa, immobile.
L’idea è quindi quella di una composizione in divenire che ripercorre la storia del dipinto, la storia della vita di Caravaggio, la storia del soggetto scelto, la storia dei vangeli. Ma il tutto ambientato in una atmosfera da prove attorali, da costruzione scenica, dove il teatro sostituisce l’atto della pittura, la luce dei fari i colori, gli attori le figure del quadro.
Vorrei così ricondurre l’atto creativo alla sua dimensione materica, fattuale, vorrei costruire l’azione del dipingere il quadro come un’opera work in progress, fatta anche di difficoltà, di imprevisti, di errori, come avviene nella vita di ogni artista quando opera e crea e ancor più per Caravaggio, la cui inquietudine esistenziale, il turbolento dipanarsi della sua vita, appartiene già di diritto alla nostra modernità e alle sue inquiete dimore.


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