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FRANCESCO A TESTA IN GIÙ

di Marco Baliani e Felice Cappa
con Marco Baliani, Roberto Anglisani, Patrizia Romeo
regia Maria Maglietta


NOTE DI REGIA (di Maria Maglietta)
Le luci illuminano un ordito di vecchie tegole di rovere, tondo come una fetta di mondo, un piccolo universo.
La luce filtra, si espande. Il racconto fluisce.
Tutto sembra naturale, semplice, i due narratori si alternano nel racconto, il ritmo cresce, si sospende, di dilata, cresce.
Ho diretto in passato sia Marco che Roberto, ma insieme in questo modo è la prima volta.
Ogni narratore ha una sua particolare modalità narrativa, e se è un vero narratore il suo modo di essere sulla scena è assolutamente organico, i tempi, i ritmi, i gesti appartengono a un sapere dove le tecniche sono orami interiorizzate al punto di divenire naturale veicolo di quell’espressione.
Il lavoro di direzione registica pertanto è qualcosa si molto particolare, richiede una grande fermezza, ma anche quell’elasticità che permette al racconto di prendere vita fuori dai canoni prestabiliti, per poi tornare a ridisegnarne i confini.
Questa volta il lavoro è stato quello di permettere un canto comune, di poter essere insieme sulla scena senza dover rinunciare alle singole specificata attorali.
Marco si è fatto portatore dei racconti di Francesco coi audio tormenti, le sue vitali visioni, le due provocatorie riflessioni.
Roberto si è fatto veicolo della storie di Ginepro, uno dei fratelli più cari di Francesco, con suo mondo innocente e gioioso.
Francesco e Ginepro hanno così suggerito ai due narratori una qualità, una energia che potesse essere un ulteriore tracciato di questo viaggio narrativo.
Poi c’è Chiara, interpretata da Patrizia Romeo, una breve intensa apparizione, un monologo che scivola in narrazione.
Chiara-Patrizia entra in punta di piedi, con la leggerezza e a vitalità di un’adolescente, ci regala uno sguardo diverso e scompare, così com’è apparsa.
La musica di Federico Bonetti Amendola accompagna con sensibile attenzione i passaggi tra le varie tappe del racconto.

In questo Francesco a testa in giù ho lavorato per sottrazione, ancor più di altre volte, ho lavorato a che tutti gli elementi della scena non si mostrassero mai nel loro evidente apparire, ma fossero nascosto veicolo di un unico racconto potente.
Tutto sulla semplice, francescana scena di Maurizio Agostinetto, è visibile sempre, ma l’occhio dello spettatore è come guidato in una messa a fuoco di elementi assolutamente necessari in quel momento a quel particolare racconto, tutto il resto sembra scomparire, eppure è lì.
Sì, volevo che tutto fosse molto semplice e ho così potuto misurare ancora una volta quanto artificio e quanto sapere siano necessari per ottenere sulla scena tanta semplicità.


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