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CORVI DI LUNA

DEDICATO A ITALO CALVINO 

attori-autori: Roberto Anglicani, Valeria Frabetti, Piergiorgio Gallicani, Tanny Giser, Loredana Lanciano, Giampiero Lorenzato, Maria Maglietta, Gyula Molnar, Giovanni Moretti, Paola Nervi, Giuseppe Scaramella, Lelia Serra, Bruno Stori
ricerca musicale Loredana Lanciano
ambiente Gyula Molnar
realizzazioni tecniche Raffaele D’Alessandro
aiuto regia Letizia Quintavalla, Maria Maglietta, Bruno Stori
drammaturgia e regia Marco Baliani
produzione Santarcangelo dei Teatri d’Europa

debutto il 23 luglio 1989, San Mauro Pascoli, Santarcangelo dei Teatri d’Europa


Noi non siamo molto diversi dai nostri genitori: non riusciamo a raccontare oggi i nostri anni di “guerra”, forse per gli stessi motivi di allora, pudore, un po’ di vergogna, troppo coinvolgimento emotivo, l’esservi troppo vicini… Ogni ricostruzione esige un tributo di volontaria dimenticanza. Nel dopoguerra si è proceduto a unificare il Paese in uno stile di vita che annullasse le differenze o le nascondesse all’evidenza, oppure ancora le mistificasse, e la rincorsa all’omogeneità continua tuttora furiosamente.
Lo strappo del ’68 e dopo cercava di opporsi ma nel farlo erigeva muro e scontro con tutto ciò che era identificabile nella tradizione (dai comportamenti al linguaggio) senza mai cercare di riallacciarsi a radici più antiche, senza mai sentire la necessità di reinventare il passato: si preferiva raccontare la storia del Che che quella dei fratelli Cervi. Walter Benjamin dice che “in ogni epoca occorre strappare la tradizione al conformismo che cerca di sopraffarla”. Ecco, noi questo passo non l’abbiamo compiuto e forse è tardi per farlo adesso; eppure sento che il mio teatro (quello di cui sono in cerca) deve andare indietro, trovare un posto che sappia di arcaico, per ricucire memorie, riattivarle come scambio tra generazioni, senza pretendere di essere avamposto di continua ristrutturazione e frammentazione del linguaggio, con l’angoscia di essere sempre nuovo e al passo coi tempi. Anzi, con l’idea costante di anticipare i tempi. No, restare indietro. L’immagine di uno scoglio a cui, col tempo, far attaccare concrezioni di conchiglie e vita minuta e lì, come in un crogiolo di metamorfosi, restituire forme di esistenza e di esperienza rielaborate.

Leggero-pesante: tra le lezioni di Calvino è l’opposizione che sembra sfogarmi di più.
Ciò che nella lezione americana di Calvino sulla leggerezza appare come scelta di campo formale, di costruzione linguistica, di scelta sostanziale, come due strade diverse che si aprono allo scrivere, ribadite da altri binomi oppositori come quello del cristallo-fiamma, qui, nel bruciarsi intenso e senza ritorni che è il teatro, qui tutto ciò deve mostrarsi come conflitto non risolto e non risolvibile, come stadio di continuo non equilibrio. E il conflitto, per essere vitale, deve animare insieme sostanze e forme dei nostri racconti teatrali.

“Lingiera” (piemontese): quelli che girano di terra in terra senza fermarsi in nessun luogo.
L’idea è che ognuno sia vestito con abiti “senza tempo”. L’abito del cercatore di luna, forse tutti vestiti da uomo, fuori misura, meglio senza misura, l’abito dei senza luogo: gli sfollati. Non solo quelli di allora, nel ’44 quando San Mauro Pascoli (il paese in cui stiamo provando) li accoglieva davvero, ma noi, i senza radici; e l’effimera durata dello spettacolo e del mese di vita comune per prepararlo è come un tentativo di riprendere la memoria collettiva, attraverso il racconto come una transitoria ma necessaria opera di fondazione. Come costruire insieme una casa sapendo che mai potremo tornare a viverci. È dai cercatori di luna che si dipartono i racconti, cioè da noi, oggi, questo gruppo di attori, generazione anni cinquanta; la luna che cerchiamo può essere tante cose per ognuno diverse (la scena del caos della caccia alla luna dirà per ciascuno i propri desideri lunari), ma è al contempo una metafora della ricerca di racconti che animano lo spettacolo: cercare le storie di un’esperienza che con difficoltà siamo riusciti a strappare dalle labbra dei nostri genitori, occupati a ricostruire e rimuovere le macerie anche del proprio immaginario. Cercare queste storie per raccontarle di nuovo è però atto di ri-creazione, gioco e pausa del tempo normale. I dialetti (senza nostalgia) appaiono allora come lingue interrotte, come è per la memoria, le radici, gli sfollati: lingue mai veramente possedute però prepotentemente presenti a significare molto più della lingua ufficiale: essi pure sono come frammenti di quella memoria di cui si va con difficoltà alla ricerca e anche loro, nel processo di ricostruzione, possono inventare nuove figurazioni sonore e acustiche, come lingue d’improvvise attive e vive, proprio perché irrimediabilmente perdute e soffocate.

La seconda fase di Corvi di Luna è stata allestita presso il Centro Teatrale Bresciano, settore Infanzia e Gioventù nell’aprile del 1990.


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