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CORPO DI STATO

Il delitto Moro: una generazione divisa

di e con Marco Baliani
regia Maria Maglietta
collaborazione drammaturgica Alessandra Rossi Ghiglione
montaggio video Michele Buri
ricerca iconografica Eugenio Barbera
produttore esecutivo Maurizio Agostinetto
direzione tecnica Massimo Colaianni
una produzione Casa degli Alfieri, Trickster Teatro

trasmesso da RaiDue in diretta dai Fori Imperiali di Roma la sera del 9 maggio 1998


NOTE DI REGIA (di Maria Maglietta)

Quanto a lui, bisognava che l’ascoltassero perché credesse alla propria vita.

Albert Camus

Lavoro da 25 anni con Marco Baliani, a volte come drammaturga, a volte come attrice, in questo caso come regista.
Nella nostra idea di teatro c’è una stretta relazione tra i vari elementi che compongono e determinano la creazione teatrale.
Si delinea un’ipotesi drammaturgica, spesso preceduta da una ricerca letteraria, tematica; in forma di canvaccio, di domande che il regista pone, di improvvisazioni, questo materiale viene passato all’attore, lievita, ritorna, nello scambio continuo sviluppa strade possibili. Comincia così a disegnarsi una possibile “mappa”, così la chiama Marco, fatta di crocicchi, luoghi da visitare, territori ancora da esplorare e soprattutto strade diverse tutte possibili per raggiungere luoghi individuati.
Lo spettacolo che ne scaturisce è una delle possibili strade individuate per percorrere luoghi tematici che si vogliono visitare.
Nel caso di Corpo di Stato, questo lavoro già complesso è stato caratterizzato da una particolarità: stavamo creando uno spettacolo teatrale, che però avrebbe visto il suo debutto in una diretta televisiva. Rai Due l’avrebbe mandato in onda dai Fori Imperiali di Roma la sera del 9 maggio 1998.
Definire teatralmente il racconto per poi immediatamente tradurlo, perché potesse avere un’efficacia attraverso un altro “mezzo”, tenendo conto dei tempi, dei ritmi, della sintesi, nonché dei vincoli tecnici imprescindibili in una comunicazione televisiva.
Quando in autunno, dopo il successo televisivo, abbiamo ripreso il lavoro per portarlo finalmente in teatro, la prima sensazione è stata quella di sentirmi padrona del tempo. Mi sono sentita accolta dal respiro più ampio che ha il tempo in teatro, e nella struttura già configurata si sono aperti spazi di approfondimento, il disegno drammaturgico si è ridefinito. Questione di secondi, a volte, o di minuti, indugiare su una domanda di non facile risposta, il poter ritornare su certi concetti condividendo con lo spettatore quel tempo.
È andata via una parte di testo, che se necessario pensando al grande pubblico della diretta, non lo è più in teatro, dove fra il narratore e il pubblico c’è una maggiore affinità, una relazione più “intima” e condivisa.
Dal lavoro televisivo sono rimaste delle indicazioni preziose. Nella trasmissione c’erano degli stacchi di quindici secondi, un montaggio di immagini di quegli anni su un sonoro tratto da telegiornali, comunicati radio di quei giorni, frammenti di musica di quegli anni. Immagini non didascaliche che avevano più che altro la funzione di attivare una “memoria emotiva” in chi allora non c’era.
Nello spettacolo teatrale le immagini sono rimaste, come un contrappunto visivo e sonoro alla parola del narratore, si è modificata la loro durata, la dimensione, il ritmo.
Il grande schermo di fondo è anche un po’ “la grande Storia” da cui il narratore entra ed esce.
Dirigere un narratore in un racconto è cosa diversa che dirigere un attore in un monologo.
Un vero narratore, quando è tale, ha un modo d’essere sulla scena che appare del tutto organico, come se tempi, ritmi e gesti appartenessero a un “sapere” dove le tecniche affabulatorie sono state interiorizzate a punto di divenire “naturale” veicolo di quell’espressione.
Allora la funzione del regista in quella parte che riguarda la direzione dell’attore, è qualcosa che assomiglia a far volare un aquilone: bisogna corrergli dietro, stare insieme a lui col vento per farlo volare più alto, tenere un filo sottile che possa richiamarlo a terra se necessario, per evitare che si impigli o si perda.

 

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